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08 Novembre 2003 |
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Nuovo giorno al polo |
Fonte : All Music |
Quattro anni scolpiscono grossi cambiamenti. Specie se non hai ancora compiuto 23anni. Tra l'esordio "Playing My Game" e la nuova alba di "Another Day" sono accadute molte cose. Una su tutte: la trasformazione di Lene da ragazza a donna.
Lene è riservata. Non vuole parlare dei testi, sa che c'è troppo di sè là dentro. Si copre le spalle discutendo placida di musica, schermando domande intime con la gioia di aver realizzato il disco che sognava. La bambina di Tromsø che nel 1999 sbalordì il mondo con il suo dolce folkpop interrompe il silenzio prolungato con il secondo lavoro in studio. Nel frattempo si è trasferita dal circolo polare artico alla capitale Oslo, ha rifiatato dopo la girandola di fama e impegni che stava sbocconcellando il suo corpicino esile, ed ha completato una maturazione artistica evidente sin dal primo pezzo.
Lene, al primo ascolto di Another Day balza all'orecchio la maturità del tuo songwriting rispetto al primo album.
Non c'è dubbio. Sono cresciuta, sono maturata sia come essere umano che come musicista. Ho meno foga di fare subito, mi prendo i miei tempi. Questa caratteristica penso sia chiara nel disco. Non credo sia il tipo di album che catturi al primo ascolto.
Delle prime cinque canzoni infatti nessuna ha quella struttura così facile e orecchiabile di Unforgivable Sinner e Sitting Down Here.
Tutte le canzoni del disco sono comunque dolci e godibili. Certo, è vero che c'è una vena di malinconia che compare un pò in tutte, ma non per questo definirei Another Day un disco triste. Sai, quando mi siedo con la mia chitarra a comporre musica sono normalmente di umore malinconico e naturalmente questo influenza la musica che andrò a comporre.
I testi sono molto introspettivi, c'è molto di te in questi brani.
Ho affrontato un periodo burrascoso, pieno di impegni. Mi sono trovata catapultata dal banco di scuola al mondo senza nemmeno accorgermene. Quando Playing My Game iniziò a vendere ovunque ci fu un momento in cui pensavo di aver perso il controllo sulla mia vita. Ho sentito quasi il bisogno di staccare, di cercare di ritornare alla naturalezza con cui quelle canzoni erano state concepite.
Tagliare fuori il clamore?
E avere il tempo di fare la mia musica. Di concentrarmi sul disco e sulla mia chitarra. In un attimo di tranquillità a casa è nata My Love, molto bluesy e dimessa. Mi sono messa a fare musica per passare gli inverni riempiendo la casa di calore e anche ora cerco di non dimenticarmelo mai.
La tua musica si è evoluta?
Quando mi capita di ascoltare ora i brani del primo disco mi sento così strana. Mi sembra che non mi rappresentino più. Ben inteso, erano perfetti per parlare di me a 17 anni, ma ora mi rendo conto che non calzano più. Questa osservazione è stata con me durante tutta la registrazione di Another Day, ho parlato molto di questo aspetto al mio produttore Mike Hedges (credits: Cure, U2, Travis) mentre eravamo a Londra a lavorare insieme.
Ora ti sei trasferita ad Oslo. Nessuna intenzione di abbandonare la Norvegia?
Oslo è molto diversa dalla cittadina dove sono nata. Per ora mi basta questo cambiamento.
Se non fai musica che fai?
Gioco alla playstation, ascolto musica, mangio pizza e guardo la tv. Come vedi attività decisamente normali.
E la musica ascoltata?
Porto sempre con me un cd portatile con un'infinità di dischi. Cambio molto, ma non possono mai mancare gli U2.
E la mancanza di un'adolescenza normale, di non averla mai avuta?
Se un giornalista dopo avermi sentito cantare non mi avesse chiesto un nastro con alcune mie canzoni sopra da portare alla Virgin di Oslo, forse non sarei qui ora. A volte mi ritorna in mente quell'episodio, mai però sotto forma di rimpianto. Mi godo quello che ogni persona vorrebbe per la propria vita: fare quello che ha sempre sognato.
Carlo Croci
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