T O P I C R E V I E W |
Marko |
Posted - 13/07/2005 : 20:37:34 Con questo topic vorrei aprire un rapporto su tutti i nuovi casi di violazioni di diritti umani che riesco a raccogliere, ma limitatamente al settore che m’interessa: quello delle multinazionali, perché ancora se ne parla troppo poco. Però, come si rileva anche nell’ottimo articolo seguente (tratto da Corriere della Sera Magazine di un paio di settimane fa) per fortuna qualcosa sta cambiando grazie a chi davvero si dà da fare. Se avrete l’interesse e la pazienza di leggere (pensate a me che devo battere a tastiera!) saprete qualcosa in più delle tristi realtà nascoste nel mondo, anzi nell’”altro mondo” che ci circonda, quelle contro cui dobbiamo reagire seguendo i consigli e appoggiando le iniziative di chi già è impegnato. Buona riflessione!
Il crollo della Spectrum Ltd a Dacca, capitale del Bangladesh. La fabbrica aveva 4 piani, poi ne hanno aggiunti altri 4. Ma il terreno paludoso ha ceduto: 74 morti.
LE T-SHIRT DELL’ALTRO MONDO di Raffaele Oriani
Stipendi da nulla, orari da schiavi, una tragedia annunciata. In Bangladesh si lavora e si muore per noi. E i marchi europei non possono più fare finta di niente
La Cina è vicina, il Bangladesh no. In Cina i salari sono da fame, lo sfruttamento compreso nel prezzo. In Bangladesh peggio. Di dazi al dragone parlano tutti, di barriere al paese indo-islamico non fa cenno nessuno. Meglio così, ma un boato lontano ci dice che i diritti negati sono una moda diffusa: l’11 aprile a Dacca una fabbrica di magliette venuta su a cemento e diosacosa crolla, uccide 74 lavoratori e ricorda che in Asia lavorare al tessile è rischioso come scendere in miniera. Sempre a Dacca, il prossimo 23 luglio, sarà una riunione a decidere se l’ennesima tragedia va archiviata come un rumore di fondo o se è il momento di affrontarla come un disastro che riguarda anche noi.
Sembra una storia lontana: alla Spectrum Sweater Ltd di Dacca c’era chi cuciva T-shirt a 700 taka al mese, mentre il salario minimo legale ne prevede 930 (11,5 euro). Nella stessa fabbrica quello stesso 11 aprile delle donne lavoravano di notte, mentre la legge del Bangladesh lo vieta espressamente. Decisamente una storia lontana: tra le macerie sono stati trovati capi cuciti e imballati per la spagnola Zara, la belga Cotton group, la tedesca Karstadt Quelle, la francese Carrefour. Tutte aziende per bene: Carrefour è ufficialmente impegnata “a incrementare il rispetto dei diritti dei lavoratori”, le altre tre sono membri di Bsci, la più importante iniziativa europea di monitoraggio etico aziendale. Zara dichiara che di Spectrum non sapeva nulla perché “il rapporto produttivo ha avuto luogo tramite un trader indiano”, Carrefour sostiene di aver monitorato Spectrum nel 2002 e di averla promossa con un “buono”, Karstadt dice che i suoi ultimi ordinativi sono del 2004, Cotton group che nello stabilimento del crollo i suoi prodotti venivano solamente stoccati. Questa e tante altre storie lontane: quando raggiungono il lieto fine le ritroviamo sugli scaffali dei nostri centri commerciali, quando virano in tragedia finiscono tra le notizie dell’altro mondo invisibile. Quando ci si mette di mezzo la paura del danno d’immagine per fortuna non finiscono lì: le aziende coinvolte nel crollo della Spectrum hanno smentito, puntualizzato, negato ogni coinvolgimento. Ma non hanno potuto chiamarsi fuori:il 6 giugno è partita una delegazione di esperti, il 23 luglio un incontro con sindacati e governo definirà l’entità dei risarcimenti. Francuccio Gesualdi è esperto di storie lontane. Con il suo Centro nuovo modello di sviluppo di Vecchiano, nella campagna pisana, cerca di togliere la patina esotica a queste storie di ordinaria fatica e straordinario dolore. la prima volta con un caso cinese: era il 19 novembre del ’93 e in una fabbrica di Kuiyong morivano carbonizzati 87 operaie, che lavoravano per una società di Hong Kong ma in realtà producevano giocattoli per Artsana. La tragedia è immane e lascia sul terreno una domanda scomoda: chi risarcirà i familiari delle vittime? Non l’azienda locale che dichiara prontamente bancarotta, non il committente italiano che nega ogni coinvolgimento diretto. È il ’93, la globalizzazione è ancora un miraggio vincente, il valore delle persone non vale il fatturato delle aziende: “Sarebbe finita con un nulla di fatto” spiega Gesualdi “se quattro anni dopo non avessimo organizzato una campagna che convinse l’azienda di Como a stanziare 300 milioni di lire per familiari e sopravvissute”. Poco? Tanto? Quanto basta per capire che c’è una strada che avvicina le storie lontane.
Sono passati una dozzina d’anni, il copione non cambia: una fabbrica crolla dall’altra parte del mondo, una tragedia bussa alla porta di grandi aziende di casa nostra. Questa volta Gesualdi non si muove da solo: ad Amsterdam la Clean clothes campaign coordina le iniziative di pressione sui marchi dell’abbigliamento, in Italia dal primo maggio è presente la campagna Abiti puliti che riunisce il centro di Vecchiano, Mani Tese, Roba dell’altro mondo e il Coordinamento lombardo nord sud. Si fa sentire l’esperanto dei diritti, si mette in moto l’internazionale della decenza economica. Per fare cosa? Per esempio per raccogliere le voci dei sopravvissuti con una serie di interviste sul posto: “Sono rimasto sotto le macerie per sedici ore” afferma un operaio ancora in ospedale “lavoravo dalle 12 alle 16 ore al giorno, guadagnavo 60 euro al mese”; “Lavoravo dalle 8 alle 17” dice una ragazza di sedici anni “spesso fino alle 20, ogni tanto fino alle 24. Ma mi hanno sempre pagato gli straordinari, così ogni mese portavo a casa anche 13 euro”; “Straordinari?” si chiede una donna “io lavoravo venti notti al mese. Ma non ho mai preso un taka più del mio stipendio”; “In zona ci sono tante industrie tessili” dice un uomo che ha perso un braccio nel crollo “dovrebbero essere monitorate dai committenti, ma spesso la visita si limita a una firma sul registro. I controllori non parlano bengali, non c’è modo di dire come stanno le cose”. Zara, Karstadt Quelle e Cotton group sono membri di Bsci, la Business social compliance iniziative che impegna gli associati a “garantire condizioni di lavoro decenti” per tutta la filiera produttiva. Garanzie? Decenza? Nel reparto asiatico della fabbrica globale il concetto è relativa, in Bangladesh più relativo che altrove: più bassi i salari (con record di 5 centesimi di dollaro all’ora), tendenti allo zero i costi di produzione (secondo il settimanale tedesco Spiegel tre dollari a jeans, la metà di tre anni fa), proiettati all’infinito gli orari di lavoro (secondo la Federazione della grande distribuzione francese fino a 86 ore settimanali). Pierre Schmitz di Cotton group ammette che qualcosa non va: “Ma non è colpa nostra. Il nostro gruppo ha un sistema di monitoraggio particolarmente accurato e dai documenti delle aziende locali non risultano straordinari non pagati, non sono mai emersi problemi di sicurezza”. Dacca è lontana, le fabbriche sono tante, nel solo complesso dello Spectrum lavoravano oltre duemila persone: “La documentazione parla chiaro” prosegue Schmitz. Che conclude: “Ma nessuno può garantire sull’autenticità delle carte…”.
In Cina come in Bangladesh si continua a faticare per nulla e a morire per caso. Nel frattempo è cambiato il post mortem: dodici anni fa un incendio a Kuiyong rischiava di restare un’inutile storia lontana, oggi il crollo di Dacca impone spiegazioni e reazioni. A parole il cambiamento è più fondo: fino a ieri nominare lo sfruttamento era eresia da no global, oggi è luogo comune di politici ed economisti alle prese con la crisi in casa e l’Asia alle porte. Francuccio Gesualdi c’era ieri e c’è oggi: nel ’96 prendeva di mira la Nike con la campagna “Scarpe giuste”, nel 2005 consulta il Corporate Responsabilità Report con cui l’azienda di Beaverton ammette gli abusi, fa pubblica ammenda e rende noto l’elenco delle 731 fabbriche in cui, a diritti alternati, si producono le scarpe con le ali. La ruota gira, la moda cambia, i boicottaggi mordono e costringono le aziende a reagire: nel ’97 Gesualdi inseguiva risarcimenti in ritardo di anni, nel 2005 la campagna Abiti puliti sollecita le aziende europee a rispettare scadenze di mesi: “Dodici anni fa un committente occidentale poteva chiamarsi fuori dalle disgrazie dei suoi fornitori del terzo mondo. Oggi non è più così, e se l’atteggiamento è diverso la ragione è una sola: i grandi marchi sanno che c’è chi li controlla con maniacale continuità”. A Vecchiano, Milano o Genova ci si muove per una tragedia di Dacca che coinvolge aziende di Madrid, Parigi, Amburgo, Bruxelles: è l’altra globalizzazione possibile. Che oggi reagisce ai disastri, prima o poi vorrebbe riuscire a evitarli.
Sponsor doc
Roma si propone come capitale dell’economia etica europea. A metà 2006 è prevista l’inaugurazione della prima città dell’altra economia negli spazi dell’ex mattatoio di Testaccio: 3.500 metri quadrati dedicati a commercio equosolidale, turismo responsabile, agricoltura biologica, energie rinnovabili. Il 15 giugno è stato invece insediato il Comitato etico sulle sponsorizzazioni del Comune di Roma. L’iniziativa parte da lontano, dall’impegno di oltre duecento associazioni che nel 2004 hanno dato vita alla campagna “sponsor etici”. Perché non è vero che i soldi sono tutti uguali: secondo il sindaco Veltroni il comitato dovrà vagliare con un “esame sereno e severo, non ideologico” le proposte di sponsorizzazione delle iniziative del Comune. Tra i criteri con cui fare le pulci alle imprese in cerca di visibilità anche il rispetto dei diritti dei lavoratori e la garanzia di salari rispettosi dei “redditi reali di sussistenza” in tutta la catena produttiva dell’azienda. A presiedere il Comitato, che fornirà pareri obbligatori ma non vincolanti, è stato chiamato il presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida.
I will always be doing music, but there are nobody who knows how it will turn out. I will always be doing music, but there are other people who will decide whether I'll be staying....
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15 L A T E S T R E P L I E S (Newest First) |
Marko |
Posted - 21/10/2009 : 16:04:25 Per la serie multinazionali... piccola parziale vittoria dei campesinos, trattati come i terroristi di Guantanamo (vedi foto). Altro articolo uscito il giorno dopo.
Sulla McDonald's c'è chi ancora nutre dubbi sui danni che produce. Sono numerosi, ma il principale, com'è noto, è dovuto alla carne di manzo utilizzata per gli hamburger. Si tratta di un danno di origine ambientale e potete rendervene conto leggendo quest'ultima ricerca scientifica, ma anche facendo una ricerca in rete su qualunque sito che parli di anidride carbonica e metano connessi al problema dell'effetto serra. Chiaro che tutti gli animali contribuiscono alla produzione di metano, ma in particolare i bovini, e per avere la loro carne negli hamburger (non certo gli unici responsabili, ma tra i principali) ci sono tante altre ricadute sull'ambiente: disboscamento di intere foreste per far spazio agli allevamenti, lavorazione della carne stessa, trasporto dal Sud America in tutte le parti del mondo ecc. La cosa di cui dobbiamo renderci conto è che ogni consumatore di hamburger è responsabile di ciò nel suo piccolo. Perciò bisogna tentare quantomeno di ridurre il consumo. Chissà se a Copenhagen avranno il coraggio di prendere delle misure in tal senso?
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Ryu |
Posted - 26/06/2009 : 13:44:45 A proposito della situazione in Iran e di queollo che dici, qualche giorno fa La Stampa ha pubblicato un estratto di un articolo del direttore di un giornale iraniano, molto duro e commovente. http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9383913
(non ricordo se ho citato questo articolo in un altro topic, ma non credo)
"L'onestà nel raccontare compensa moltissimi difetti stilistici mentre mentire è il peccato irreparabile in assoluto." (Stephen King) |
Marko |
Posted - 25/06/2009 : 14:53:56 Anche quello che sta avvenendo in Iran in questi giorni è una palese violazione dei diritti umani di libera manifestazione, libera informazione, libera espressione in generale, anche quando sia critica e opposizione. Purtroppo lì la religione costituisce ancora una fonte non solo di interferenza negli affari politici, ma questa "spaccatura" del Paese che è palese costituisce motivo di "vergogna" per tutti quegli islamici che credono di dover dare un'immagine della loro religione come "compatta" e "ortodossa" davanti al mondo: di qui i tentativi di dare la colpa alle interferenze del mondo occidentale, che certo ci sono (indirettamente), ma non si può negare che milioni di manifestanti siano qualcosa in più di un gruppo di dissidenti manipolati: è una parte importante, forse maggioritaria del Paese che vuole voltare pagina. Io temo che si vada alla guerra civile e che questa possa sfociare in qualcosa di peggio, specie se le autorità invece di essere responsabili, compiranno atti gravi tipo massacri, di cui poi attribuiranno la colpa ai manifestanti. Bisogna sperare che Mousavi riesca a tenere in mano la situazione dei suoi, non risponda alle provocazioni e resista finquando si dovrà prendere atto che bisogna mettersi attorno a un tavolo o finquando i militari o qualche altra forza si schiererà dalla parte delle istanze di modernità/democrazia (seppure non proprio come la intendiamo noi, ma andiamo in quella direzione) che sono emerse da tempo e ora sembrano davvero non voler più essere messe a tacere. Certo il Paese è a un punto cruciale della sua storia e non credo si possa ripetere il passato di repressione. Speriamo anche che il focolaio non si allarghi e ringraziamo che non c'è + Bush, il quale certamente avrebbe saputo cosa fare ora (sul modello di quanto ha fatto a Saddam), da bravo cowboy.
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Ryu |
Posted - 13/06/2009 : 10:41:48 Desaparecidos: "L'espressione desaparecidos (letteralmente "scomparsi" in spagnolo) si riferisce a persone che furono arrestate per motivi politici dalla polizia dei regimi militari argentino, cileno o di altri paesi dell'America latina, e delle quali si persero in seguito le tracce. (...) Tipico del fenomeno dei desaparecidos è la segretezza con cui le forze governative si muovevano. In genere, gli arresti avvenivano senza testimoni, così come segreto restava tutto ciò che seguiva all'arresto. Gli stessi capi di imputazione erano solitamente molto vaghi o chiaramente pretestuosi. Di molti desaparecidos non si seppe effettivamente mai nulla. Di molti si venne a sapere che erano stati detenuti in campi di concentramento, torturati e infine assassinati segretamente. La "sparizione forzata" è un fenomeno che si è verificato anche in altri paesi e in altri momenti storici. È stata riconosciuta come crimine contro l'umanità dall'articolo 7 dello Statuto di Roma del 17 luglio 1998 per la costituzione del Tribunale Penale Internazionale e dalla risoluzione delle Nazioni Unite numero 47/133 del 18 dicembre 1992." (wikipedia) http://it.wikipedia.org/wiki/Desaparecidos
L'ultima notizia a riguardo è questa:
Argentina: desaparecidos, agente pentito fa scoprire gli archivi della polizia politica
BUENOS AIRES (13 giugno) - Gli archivi della polizia politica argentina della passata dittatura (1976-1983) contenenti centinaia di rapporti su persone sequestrate e poi scomparse sono stati scoperti a Santa Fè grazie alla confessione di un agente pentito. Lo ha reso noto a Buenos Aires il procuratore generale Eetban Righi. «Questa è solo la punta di un iceberg- ha detto - verranno fuori cose che non possiamo nemmeno immaginare». «Gli archivi danno comunque un'idea molto chiara di quanto accadeva durante la dittatura e potranno essere utilizzati come prove nei processi in corso», ha aggiunto. I rapporti finora esaminati sono solo una piccola parte di quelli ritrovati. Parlano del sequestro di oppositori poi scomparsi e mai più ritrovati, di intercettazioni e pedinamenti ai danni di politici e sindacalisti, di cadaveri. È stato un agente pentito a segnalare alla procura l'esistenza dei dossier segreti, che erano custoditi in una stanza degli Archivi storici di Santa Fè, nell'Argentina centro-orientale. Sono almeno 30 mila le persone scomparse o assassinate in Argentina durante il periodo della dittatura. (ilmattino.it)
EDIT: Il tutto accadde in quella che viene definita storicamente "Guerra Sporca".
"La guerra sporca (in spagnolo: Guerra Sucia) è un programma di repressione violenta di ribelli e dissidenti condotto da forze governative; caratterizzato dall'uso di sparizioni, torture, assassini e altre operazioni segrete e dalla massiccia violazione dei diritti umani e civili. Questo tipo di guerra si svolse in Argentina tra il 1976 e il 1983, e in diversi paesi dell'America Latina nel corso degli anni '60, '70 e '80. Il termine viene usato in particolare con riferimento alla repressione attuata dai dittatori argentini Jorge Rafael Videla, Roberto Eduardo Viola, Leopoldo Galtieri e, in misura minore, Reynaldo Bignone. Durante questo periodo che va dal 1976 al 1983 ci furono 2.300 omicidi politici e tra le 10.000 e le 30.000 persone vennero uccise o "scomparvero" (desaparecidos) e molte altre migliaia vennero imprigionate e torturate." (Wikipedia) http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_sporca
EDIT2: Di tutt'altro argomento questo articolo comparso sull'Avvenire:
Agli arresti uno degli intellettuali e dissidenti più brillanti Ributtato in piazza Tienanmen. Liu Xiaobo vent’anni dopo
http://www.avvenire.it/Commenti/Ributtato+in+piazza+Tienanmen+Liu+Xiaobo+ventanni+dopo_200906250813528630000.htm
Ryu Web: http://www.daniloruffo.com E-mail: danilo@daniloruffo.com Facebook: http://www.facebook.com/people/Danilo-Ruffo/642752127 MySpace: http://www.myspace.com/daniloruffo
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Marko |
Posted - 12/06/2009 : 12:11:37 Mugabe è un caso emblematico, come anche di recente Al-Bashir del Sudan, che resta al suo posto sprezzante di tutta l'opinione pubblica internazionale e anche del fatto che sia indagato dalla Corte penale internazionale (primo organo penale internazionale "ordinario" nella storia, che finalmente quest'anno ha cominciato ad operare). Non so quanto corrette siano le info di wikipedia, perché sulle ultime elezioni di Mugabe parla di 99 seggi contro 97 (quindi sono aumentati a 200 da che erano 120?). Cmq si sapeva che stavolta Mugabe ha perso nonostante i brogli e i metodi dittatoriali, e che aveva imbrogliato anche in passato: eppure sta ancora lì! Ora, quando si dice che gli USA intervengono a favore del ristabilimento della pace nel mondo... ebbene qui abbiamo dei casi in cui davvero l'ONU (e gli USA per essa, assumendo il comando del contingente internazionale) potrebbero intervenire -e non lo fanno!- contro i genocidi in atto e per il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli, perché si tratta di principi considerati di diritto cogente anche a livello internazionale. Quindi la colpa di questa situazione è anche dei Paesi occidentali che continuano a vendere armi e fare affari con questa gente (per non parlare dello sfruttamento operato dai privati, a partire dalle multinazionali) spendendo da anni miliardi in teatri di guerra a caccia di terroristi sfuggenti che proprio da situazioni di oppressione e povertà come questa provengono. Cioé il terrorismo ha le sue radici in questi luoghi di corruzione e miseria: è lì che bisogna operare e si risolverà più velocemente anche la situazione in medio oriente. Se una popolazione sta mediamente bene, almeno sopravvive e non subisce ingiustizie e persecuzioni, a nessuno di solito viene in mente di andare a fare attacchi terroristici né di fuggire per rifugiarsi in altri Paesi. Spero che Obama stia elaborando un vasto piano di intervento in Africa, perché ce n'è davvero bisogno. Per cominciare ci vogliono forme di pressione di vario tipo, sostegno alle forme di economia grandi e piccole che operano in modo equo per far lavorare tutti, e rimozione almeno dei dittatori che stanno al potere abusivamente. Soltanto che ho timore che neppure Obama potrà fare molto se non collaborano e soprattutto cambiano rotta anche i Paesi europei. L'Italia ad es. ha già vergognosamente annunciato di non voler neppure stanziare il minimo dei fondi stabiliti annualmente per l'Africa: ormai siamo completamente ripiegati su noi stessi, però gli affari col dittatore libico sulle spalle della povera gente vanno a gonfie vele.
Riguardo ai media, di ciò che accade all'estero non ne parlano in Italia (e ogni anno i tg dedicano sempre meno minuti, secondo le statistiche: anche così si tiene un popolo ignorante ed egoista), ma in Germania ad es. vi assicuro che si parla eccome, anche di quello che accade in Vietnam tanto x dire. I nostri tg invece ci mostrano un quarto d'ora di opinioni politiche (di cui ci può fregare altamente) delle solite facce che prenderei a schiaffi, e quasi un altro quarto d'ora di notizie che spesso non dovrebbero appartenere a un tg (come la pubblicità a fiction, personaggi dello spettacolo ecc.) Per fortuna c'è la rete con tanti siti seri: tempo fa vi segnalai asianews.it, anche se ha carattere + "religioso", essendo un'iniziativa collegata alle missioni estere della Chiesa per monitorare la situazione in Asia, specie in Cina, e favorire il dialogo interreligioso specie con l'Islam. D'altronde tutte le notizie dai posti + sperduti del mondo sono sempre arrivate ad opera di religiosi già in passato. Ora con la diffusione di internet anche in zone remote e con l'interessamento sempre maggiore di organizzazioni umanitarie, ci sono siti anche "laici" come africanews.it. Ci sono anche bellissime riviste, come solidarietà internazionale, che riportano notizie da tutto il mondo, oltre che dall'Italia, e affrontano le varie tematiche scottanti come acqua, clima, commercio equo, oltre che diritti umani. Vi consiglio di aggiungerla ai vostri preferiti (se non proprio di abbonarvi: sono una ventina di euro all'anno) e leggete un po' l'ultimo articolo-copertina "Povera Italia": io mi ci trovo d'accordo al 100%.
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Ryu |
Posted - 12/06/2009 : 10:37:40 Di diritti umani violati al mondo ce ne sono tantissimi. Spesso i media neanche ne parlano...
Per esempio, pensiamo allo Zimbabwe e al suo presidente Robert Mugabe... http://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Mugabe
Cito testualmente da Wikipedia: "Le organizzazioni per i diritti umani denunciano da anni i reati di cui si sarebbe macchiato Mugabe: la persecuzione e la tortura degli avversari politici, le violenze sistematiche, l'appropriazione degli aiuti internazionali alle popolazioni del paese."
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Marko |
Posted - 09/06/2009 : 16:13:55 Riprendo ancora questo topic per riportarvi questo articolo pubblicato oggi dal Corriere della Sera online. So che l'ultima puntata di Report domenica sera (me la sono persa ma mi rifarò online) ha trattato proprio le malefatte della Shell in Nigeria e della Benetton in Patagonia.
NIGERIA Poeta ambientalista ucciso, Shell evita il processo con un assegno da 15 milioni Ken Saro-Wiwa si opponeva ai metodi di estrazione del petrolio: fu ucciso 15 anni fa
Ken Saro-Wiwa (Afp)
NEW YORK (USA) - Quattordici anni dopo la morte scrittore e attivista Ken Saro-Wiwa, il colosso petrolifero anglo-olandese Shell ha accettato di pagare 15 milioni e mezzo di dollari (11,1 milioni di euro) per evitare di comparire in un imbarazzante e clamoroso processo. La compagnia petrolifera era perseguita dal 1995 per complicità con l’ex regime militare nigeriano per quel che riguarda l’esecuzione di sei civili, che si opponevano ai suoi metodi di estrazione del petrolio. Tra le vittime appunto lo scrittore, poeta e attivista ambientalista Ken Saro-Wiva.
PATTEGGIAMENTO - «Il gesto significa che, anche se Shell non ha partecipato alle violenze che sono avvenute, ci sono dei querelanti e delle persone che hanno sofferto», ha dichiarato in un comunicato Malcolm Brinded, che dirige il ramo esplorazione e produzione di Shell. Il gigante anglo-olandese ha dichiarato di aver accettato di regolare la faccenda per aiutare il "processo di riconciliazione", mentre continua a operare in Nigeria, pur negando qualsiasi implicazione nella morte del poeta Ken Saro-Wiwa e di altri cinque attivisti dei diritti dell’uomo e della protezione dell’ambiente, che avevano manifestato nella regione di Ogoni, nel sud della Nigeria. «Penso che mio padre sarebbe felice di questo risultato», ha detto in un’intervista telefonica dalla sua abitazione di Londra il figlio dello scrittore Ken Saro-Wiwa Jr., 40 anni: «Il fatto che la Shell sia stata costretta a patteggiare per noi è una chiara vittoria». Dal canto suo Jenny Green, avvocato del Center for Constitutional Rights di New York che avviò la causa contro la Shell nel 1996 commenta: «Basta questo a riportare in vita i nostri assistiti? Certamente no ma è un messaggio chiaro a tutte le multinazionali che operano nei paesi in via di sviluppo: per fare affari non si possono più violare i diritti umani. Nessuna corporation può più contare sull’impunità. l’accordo di oggi è sostanzialmente un’assunzione di responsabilità».
LA STORIA - Ken Saro-Wiwa e altri otto attivisti vennero impiccati il 10 novembre 1995 al termine di un processo farsa. Fondatore del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni (Mosop), Saro-Wiwa si batteva da anni contro i danni ambientali causati dalle attività petrolifere della Shell nella regione dell’Ogoniland, nel sud della Nigeria, e contro la miseria e l’arretratezza a cui il governo nigeriano condannava il suo popolo. Lo scrittore era riuscito a mobilitare migliaia di persone, a bloccare la produzione di greggio della Shell e a minare il sistema di corruzione e autoritarismo su cui si reggeva il regime di Abacha. Prima che venisse impiccato, Saro-Wiwa disse: «Il Signore accolga la mia anima, ma la lotta continua». Per il figlio dell’attivista, Ken Saro-Wiwa Junior, l’avvio del processo, circa due settimane fa, aveva segnato una prima vittoria della lotta del padre, portata avanti in tutti questi anni. «In qualche modo abbiamo già vinto perchè una delle ultime cose che mio padre disse era che un giorno la Shell avrebbe passato i suoi giorni in tribunale - dice Saro-Wiwa Junior, 40 anni - noi riteniamo che siano sfuggiti alle loro responsabilità per quanto accaduto in Nigeria, per questo vogliamo che le sue parole diventino realtà». Shell ha sempre respinto tutte le accuse. "Shell non ha in alcun modo incoraggiato nè sostenuto alcun atto di violenza contro gli attivisti della gente Ogoni e cercò di persuadere il governo a essere clemente - aveva detto un portavoce della multinazionale, Stan Mays - con nostro profondoa rammarico quel nostro appello e gli appelli di molti altri rimasero inascoltati e fummo scioccati e rattristati quando arrivò la notizia". La Shell non ha potuto più operare in Ogoniland dal giorno della morte di Saro-Wiwa e oggi sarà chiamata a rispondere anche di complicità nella tortura, nella detenzione e nell’esilio del fratello dell’attivista, Owens Wiwa. Una versione che non ha mai convinto i familiari dello scrittore ucciso. «Noi sappiamo che ci sono le loro impronte digitali su tutti i casi di tortura, uccisione ed esecuzioni extra-giudiziari della gente Ogoni tra il 1993 e il 1996 - aveva detto sempre in apertura di processo Saro-Wiwa Junior - garantivano sostegno logistico ai soldati coinvolti in questi abusi contro gli Ogoni». I militanti Ogoni sono riusciti a portare in aula una causa vecchia 14 anni in virtù di una legge che consente di perseguire un’azienda, che vanta una significativa presenza negli Stati Uniti, anche per crimini commessi all’estero. E i querelanti auspicano che la causa rappresenti anche un monito alle aziende che operano oggi nel Paese. Anche se vecchia di 14 anni, infatti, la vicenda è ancora di forte attualità in Nigeria, dove i militanti non-violenti del Mosop di Saro-Wiwa, che praticavano la disobbedienza civile, sono stati rimpiazzati dai militanti del Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend), che ricorrono a sequestri, boicottaggi e scontri armati per perseguire gli stessi obiettivi.
CORRUZIONE - Sebbene la Nigeria sia uno dei principali produttori di petrolio, la maggioranza della popolazione nigeriana vive ancora oggi in condizioni di estrema povertà a causa della corruzione e dell’incapacità della classe di governo. Si stima che dal giorno dell’indipendenza, nel 1960, la corruzione sia costata alla Nigeria oltre 380 miliardi di dollari. Da parte sua, l’industria petrolifera ha causato gravi danni ambientali alla regione meridionale del Paese. «Nessuno nega alla Shell il diritto di produrre idrocarburi - aveva detto Saro-Wiwa Junior - ma bisogna farlo rispettando l’ambiente e i diritti umani».
09 giugno 2009
Un'altra cosa che sta uscendo fuori grazie a Greenpeace che ha indagato in segreto per 3 anni è che molte ditte famose di calzature, come GEOX e Adidas, che finora non sembravano implicate in "scandali", fabbricano con la pelle derivante dagli allevamenti bovini dell'Amazzonia, per far spazio ai quali (di cui chiaramente viene anzitutto usata la carne) viene disboscato da anni il polmone verde del pianeta, nonostante le promesse del governo brasiliano nel senso di tutelare la foresta (qui non capisco l'atteggiamento di Lula). La notizia è stata anche ripresa dal tg2 (se non erro) di pochi giorni fa, mostrando i manifestanti di Greenpeace davanti alla sede di Milano della Geox.
EDIT: Tra i vari in rete ho trovato questo articolo su Lula e l'Amazzonia. Rispetto al passato sembra andare meglio, anche se c'è ancora da fare molto, eppure... qualcosa non quadra! Secondo me Lula (se ne ha i poteri) dovrebbe essere + deciso a rimuovere i suoi ministri che remano contro i progetti del suo governo, invece di far costringere alle dimissioni quelli onesti. E' un dato di fatto che il Brasile è cresciuto come non mai da quando c'è Lula, è l'economia che avanza di più insieme a Cina e India e soprattutto avanza su un modello attento ai bisogni delle classi + deboli, perciò è un merito ancora maggiore. Ma si sa che pur con tutta la buona volontà, resistono sempre fortissimi interessi economici, che attendono solo che cambi di nuovo il vento per riprendere con + vigore le loro malefatte. Anche su questo fronte sudamericano, Obama ha quindi molto da fare per ribaltare una visione giustamente distorta che i popoli americani (come quelli islamici, e Obama ne ha già saggiamente ammesso le ragioni storiche, cioé colonialismo e globalizzazione) hanno degli USA per la politica che ha adottato in passato e che tramite i gruppi economici continua a portare avanti nei Paesi + deboli.
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Marko |
Posted - 26/10/2007 : 21:59:48 Riprendo questo topic (che avevo abbandonato, ma dovrebbe essere pieno di denunce) per riprendere un caso, quella della repressione della giunta militare in Myanmar, che i media hanno pure trattato, ma prob. non a sufficienza, e reazioni internazionali non se ne sono viste di particolari in queste settimane, però da diverse testimonianze sappiamo che la situazione è gravissima. Ora il Corriere ha pubblicato un link di Asianews, su cui c'è un altro link in cui ci sono 2 foto di un monaco trucidato. La foto che si vede sul Corriere si può guardare, la seconda foto nel link di Asianews (presa allo stesso cadavere di spalle) è molto cruda, cose che normalmente non si vedono, perciò non ne consiglio la visione a chi ritiene di non poter vedere un cranio fracassato e un corpo bruciato. V'invito però a informarvi meglio sulla situazione e a sostenere il popolo birmano in ogni modo possibile.
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Marko |
Posted - 25/02/2006 : 15:17:44 E' successo di nuovo a meno di un anno di distanza, nella stessa città, stesso tipo di fabbrica, sicuramente simili le condizioni (non c'è motivo di pensare che siano diverse). C'è ancora molto da fare...
Ma diamo uno sguardo anche all'Italia, in particolare per capire come vengono impiegati tanti immigrati + o - clandestini che costituiscono oggi una nuova forza della nostra economia, spesso purtroppo sommersa. Lascio un attimo il settore multinazionali (ma siamo sempre in ambito imprenditoriale) per riportare un triste fenomeno nostrano ancora molto attivo, che come vittime ha ovviamente gli extracomunitari, quelli che vorrebbero lavorare onestamente per sfamare le proprie famiglie e perciò vengono sfruttati; come carnefici o tramiti ha spesso altri extracomunitari o ex tali, che invece vivono alle spalle di quelli onesti; come "clienti" logicamente ha aziende italiane. Leggetelo tutto, è importante conoscere e magari occuparsi di questa realtà se possibile.
Articolo di Bianca Stancanelli, tratto da Panorama del 2 Marzo 2006
Shiavisti del 2000 In Italia è tornato il mercato delle braccia Non sono uomini, sono CAPORALI Arruolano manovali all'alba per le strade, li portano in campi e cantieri senza tutele, pagandoli 2 euro l'ora. Dal Nord al Sud, così prosperano i nuovi aguzzini.
Gigo il bulgaro lo conoscevano tutti a Cotronei. Da quel paesotto di collina, sulle pendici della Sila, la sua fama si era estesa anche oltre la provincia di Crotone. Servivano braccianti, badanti, pastori, operai? Gigo li ordinava in Bulgaria, li faceva arrivare sulla piazza e li forniva al committente. In nero, naturalmente. Al telefono si vantava: "Sono il numero uno in Calabria". Peccato che lo ascoltasse anche la polizia. Così Geomil Georgiev Gencev, classe 1971, detto Gigo, è finito in galera. La squadra mobile di Catanzaro, che lo ha arrestato, ha calcolato che ai suoi ordini si muoveva una flotta di 25 furgoncini che scaricavano nel Crotonese, ogni fine settimana, deine di immigrati. Un mercante di braccia. Un caporale, epigono di un mestiere antico che, nell'Italia del Terzo millennio, non solo non scompare, ma si trasforma, si rinnova. "E' un fenomeno in crescita" avverte Oberdan Ciucci, responsabile nazionale delle politiche migratorie per la Cisl. "In agricoltura, nel lavoro stagionale del turismo, nell'edilizia, il caporalato, italiano ed etnico, cresce robusto. Anche perché può sfruttare l'enorme serbatoio dell'immigrazione clandestina". Dagli "smorzi" della capitale, i magazzini di materiale edilizio dove all'alba si raccolgono romeni, moldavi, ucraini in cerca di un ingaggio nei cantieri edili, alla statale fra Eboli e Battipaglia su cui si assiepano i nordafricani a caccia di una giornata di lavoro nelle serre campane, i caporali contrattano, scelgono, reclutano. E talvolta impongono alle loro vittime condizioni di autentica schiavitù. Cifre? Impossibile averne. Nel 2005 i soli carabinieri del Comando ispettivo inserito nei ranghi del ministero del Welfare hanno denunciato per "somministrazione illecita di manodopera" 262 italiani e 16 extracomunitari. Una goccia nel mare. Osserva Gino Rotella, segretario nazionale del Flai, sindacato lavoratori agricoli della Cgil: "Si dice caporalato e si pensa al latifondo, alle campagne del Sud. Errore, anche al Nord allignano i nuovi caporali. Non arrivano con la coppola in testa: conoscono le lingue, si presentano come società di servizio o cooperative, forniscono alle aziende servizi specializzati".
E' il caso di tre cooperative, fondate da egiziani, che a Treviglio, provincia di Bergamo, procuravano a fabbriche medie e piccole operai extracomunitari da impiegare per far fronte ai picchi di produzione. "Prezzi modici", garantivano i tre egiziani nei volantini spediti via fax alle aziende. Verissimo: per far lavorare uno dei 700 immigrati reclutati dalle tre coop bastava pagare anche solo 2 euro l'ora, contro gli 8 dovuti a un operaio in regola. Il meccanismo, scoperto dalla Guardia di finanza, era semplice: le coop firmavano con le aziende contratti per appalti di servizi, fingevano di fornire manodopera come imprese di pulizie. Ma una volta entrati in fabbrica gli extracomunitari lavoravano alla catena di montaggio. "Sono i caporali del Duemila: appaltano braccia, aggirando la legge Biagi" commenta il colonnello Gianluigi Miglioli, comandante delle Fiamme gialle a Udine. "Fondano società fantasma, le intestano a prestanome, perfino a prostitute bosniache, poi cambiano nome, sede. Spostano i lavoratori dove serve: da una fabbrica all'altra, da un'attività all'altra". Proprio a Udine, tra il 2003 e il 2004, nove friulani sono stati denunciati: avevano regolarizzato, facendosi pagare il doppio del dovuto, 200 clandestini e li collocavano qua e là nelle aziende del Triveneto, offrendoli agli imprenditori a un terzo del costo normale di un operaio. Non pagavano né contributi né assicurazioni. "Il caporalato è l'espressione odiosa di un mercato del lavoro opaco" osserva Maurizio Sacconi, sottosegretario al Welfare. "Il primo atto di riforma di questo governo è stato accendere la luce su quel mercato, cominciando a renderlo trasparente. I risultati non mancano. L'Istat ha segnalato che, tra il 2001 e il 2004, l'incidenza del lavoro sommerso sul totale è scesa al 13 per cento". C'è chi contesta quelle cifre. Ha annotato sul Corriere della Sera il direttore Paolo Mieli, lunedì 20 febbraio: "Secondo i rilievi del rapporto Schneider, assai più inquietanti di quelli Istat, l'incidenza dell'economia sommersa in percentuale del PIL ammonterebbe qui da noi al 27 per cento rispetto al 16,3 della Germania, al 15 della Francia, all'8,7 degli Stati Uniti". In quel sommerso fiorisce il mercato delle braccia. Per nove mesi, da maggio a dicembre 2004, un'équipe di Medici senza frontiere ha attraversato con un pulmino-ambulanza le cinque regioni del Mezzogiorno, dalla Campania alla Sicilia. "Seguivamo, per così dire, la transumanza degli immigrati, al lavoro nei campi" racconta Andrea Accardi, capo missione di Msf in Italia. Il risultato: 770 lavoratori intervistati, il 95,8 per cento in nero, la maggioranza costretti a vivere in condizioni disumane. Un'inchiesta ricostruita in un libro I frutti dell'ipocrisia, editrice Sinnos. C'è anche la testimonianza di A., 33 anni, profugo della Sierra Leone, che vive con 102 africani in una palazzina diroccata nella campagna campana: "Ogni mattina mi alzo alle 4 e vado all'incrocio aspettando che qualcuno mi offra un lavoro per la giornata. Quando passa una macchina grido: lavoro, lavoro!". Commenta Accardi: "Non si nascondono né i caporali né i lavoratori. E tutti sanno tutto: le istituzioni locali, i datori di lavoro, i sindacati".
Al patron, come spesso lo chiamano, i braccianti pagano il trasporto: almeno 5 euro al giorno, nel 48 per cento dei casi, secondo l'inchiesta di Medici senza frontiere, sottratte ai 25 euro che rappresentano la paga media di una giornata di lavoro. Oppure versano una percentuale del guadagno: "Da 50 centesimi a 1,50 euro per cassone raccolto" ha documentato nel 2005 un'inchiesta della Flai Cgil della Basilicata; e un cassone, nella campagna di raccolta del pomodoro, significa 350 chili di prodotto, pagato 5 euro in tutto. Ci sono casi in cui i caporali diventano aguzzini. Un dramma che Domenico Centrone, imprenditore agricolo e console onorario della Polonia in Puglia, conosce molto bene. Nell'agosto scorso andò lui a liberare 94 polacchi segregati in un campo di Orta Nova, nel Foggiano. Dormivano per terra, in un accampamento di tende, senz'acqua, senza servizi igienici. Venivano svegliati all'alba, caricati sui pulmini, portati al lavoro nei campi, senza mangiare, riportati indietro al tramonto. Dovevano versare ai caporali quel che guadagnavano. Spiega il console: "Nelle campagne del Foggiano, per la raccolta del pomodoro arrivano 20 mila stranieri. Uno su tre è polacco. Li attirano con avvisi sui giornali, a Danzica come a Torun: promettono buone paghe, 5 euro l'ora. All'arrivo li accolgono caporali senza scrupoli: li stipano in casolari abbandonati, li portano al lavoro in luoghi che non conoscono, oltre 10 ore per 25 euro al giorno. Che non vengono mai pagati perché i caporali trattengono 5 euro per il trasporto, altrettanti per il posto letto e così via". Qualcuno riesce a fuggire. Nel gelo di gennaio, Centrone è stato chiamato dai carabinieri di San Carlo, un borgo di collina. Lo aspettavano otto polacchi infreddoliti, fuggiti da un casolare abbandonato dopo giorni e giorni passati a raccogliere verze, spinaci e cavoli. Qualcuno sparisce. Sulla scrivania del console, c'è una lettera dell'ambasciata di Polonia: una richiesta di notizie su 12 persone, scomparse tra il febbraio e l'agosto 2005. L'ultimo contatto con le famiglie l'avevano avuto dalla Puglia. Sostiene Centrone: "In Polonia sono già finiti in carcere in 25 per questi traffici. Molti di loro sono stati processati e condannati. Qui tutti sanno e tacciono. Compresi i sindaci del Foggiano, che pure sono di sinistra".
Il gran mercato delle braccia funziona in pieno giorno e in piena luce. E non solo in agricoltura. Racconta Sandro Grugnetti, segretario degli edili Cgil nel Lazio: "Una mattina allo smorzo di Tor di Quinto, a Roma, li ho filmati: c'era un gruppo di moldavi, sul marciapiede di sinistra, e un gruppo di romeni, a destra. Tra loro non si mischiano. Si è fermata una macchina, si sono avvicinati in tre, hanno contrattato, uno è salito". Lavorano duro, non chiedono garanzie. Se cadono da un'impalcatura, basta portarli sul bordo della strada e fingere un incidente. "Romeni, ucraini, gli ultimi arrivati in edilizia, non parlano, non aprono vertenze" riassume Alina Stocka, polacca, in Italia dal 1992, collaboratrice del patronato Senas: "Dormono in baracche, tra i rifiuti, o in autobus abbandonati. La mattina vanno allo smorzo. Quando trovano un caporale che li carichi, non sanno per chi lavorano né dove. Se lo denunciassero, pagherebbero con l'espulsione. E stanno muti".
I will always be doing music, but there are nobody who knows how it will turn out. I will always be doing music, but there are other people who will decide whether I'll be staying....
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Gaga |
Posted - 21/10/2005 : 01:19:27 QUando ci sono di mezzo soldi pe rl'uomo non esiste più nessuno se non se stesso e i soldi! |
KGB |
Posted - 20/10/2005 : 21:31:27 Sono stufo di sentire sempre notizie che non fanno altro che parlare di diritti negati, guerre di religione e quant'altro sia collegato a questo scempio... E' un bordello continuo, che porta solo alla disperazione. Secondo me non basta parlare semplicemente di "commercio equo e solidale", ma ribadisco per l'ennesima volta che è l'egoismo profondamente radicato nelle anime dei piu' forti a renderci tutti schiavi, e non solo del lavoro.
Ivan "KGB" |
Elena92 |
Posted - 20/10/2005 : 16:56:26 Io ho letto d 1 ragazzino iraqeno (si scrive così vero?) ke fin dall'età d 4 anni lavorava in 1 fabbrica d mattoni...poi ad 8 anni in 1 fabbrica d tappeti...all'età d 11 anni i genitori sn riusciti a trovare abbastanza soldi x farlo smettere d lavorare...lui ha denunciato i suoi "capi" del lavoro...quelli ke lo avevano "schiavizzato"...po ha detto questa frase "io nn ho paura del mio aguzzino, ora è lui ad avere paura d me..." la notte d natale gli hanno sparato 1 colpo alla testa...:-( è terribile... Ho deciso...appena finisco le scuole superiori, mentre vado all'università farò volontariato...aiuterò le persone meno fortunate d me...forse andrò ad aiutare anke nei paesi del "terzo mondo"...ho deciso... forse a causa d questo c metterò d più a laurearmi...ma nn mi interessa... Ne ho parlato cn 1 mia amica...mi ha detto ke è 1 cosa stupida... :-( Ma io sn decisa! 1 altra mia amica (fissata cn paolo meneguzzi) mi ha detto ke sembra la storia della canzone "Sara"...:-/ allora ho visto il video...forse ha ragione... Io nn so ke mestiere farò da grande...xò sul mio futuro so questo! :-)
<<...the soundtrack of my life>>Elena92
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Marko |
Posted - 20/10/2005 : 16:50:14 Articolo di Viviano Domenici, tratto dal Corriere della Sera del 17 Ottobre 2005
Nel Botswana, in Africa meridionale, l’antica tribù è stata deportata perché nella sua riserva si nascondono ricchissimi giacimenti “Noi boscimani, cacciati come belve nella savana” Sfrattati dal governo che fa l’interesse dei mercanti di diamanti
Questa che segue non è una testimonianza sulla tortura nel Medioevo. È una testimonianza su fatti accaduti nel giugno scorso in Botswana, Africa meridionale. “Mi chiamo Letshwao Nagayame, ho 57 anni, sono il più anziano dei sette arrestati per aver cacciato nella riserva. Le guardie ci hanno torturati. Io sono vecchio ormai, ma loro non hanno avuto pietà: mi hanno ammanettato e appeso per i piedi a una corda tesa tra due pali, con la testa ciondolante, le gambe per aria e le nocche delle mani appoggiate sul pavimento di cemento. Le guardie mi schiacciavano i testicoli e il pene colpendoli con pugni e calci, mentre una mi spezzava le dita pestandole con le sue grosse scarpe. Io gridavo e loro mi hanno riempito di benzina dall’ano. Uno dei miei compagni, Selelo Tshiamo, è stato picchiato duramente al petto, fino a sputare sangue ed è morto dopo settimane di agonia. Io non ho potuto urinare per tre giorni, poi ho versato sangue e ora cammino a fatica”. Letshwao Nagayame e i suoi sventurati compagni sono boscimani che fino al 2002 vivevano con le loro famiglie nella Central Kalahari Game Riserve, in Botswana, dove si procuravano il cibo cacciando piccole prede, raccogliendo radici e bevendo acqua nelle pozze. Furono trasferiti insieme ad altri 7/800 individui delle tribù Gana e Gwi, e dei loro vicini Bakgalagadi, nel “campo di reinsediamento” di Kaudwane, fuori dalla riserva. I boscimani parlano di deportazione in “luoghi di morte”, ma il governo sostiene che si spostarono di loro volontà, attratti da una vita meno primitiva. Inoltre, dice ancora il governo del Botswana, quando i boscimani vivevano all’interno della riserva danneggiavano l’ambiente naturale perché cacciavano antilopi e raccoglievano erbe e tuberi per mangiare. E proprio per fermare questo “scempio della natura”, il governo fece piantare nella savana una quantità di cartelli con disegnato un boscimano che tende l’arco, sbarrato da una “X” di divieto facilmente decifrabile anche da chi non sa leggere; per i più letterati, una scritta in inglese e in setswana, la lingua ufficiale del Botswana, avverte: “divieto di caccia e raccolta di piante”; cioè divieto di mangiare.
Il governo - sempre in difesa della natura - ha fatto anche murare i pozzi e quando le autobotti portano l’acqua alle pozze per l’abbeverata degli animali, guardie armate impediscono ai boscimani di bere. Le autorità sostengono che rifornire di acqua i boscimani costa troppo: tre euro e mezzo per dissetare una persona per una settimana. L’Unione Europea e Survival International - l’organizzazione per la difesa dei diritti dei popoli tribali alla quale dobbiamo tutte le informazioni contenute in questo articolo - si sono offerte di finanziare i rifornimenti ma il governo del Botswana non ha mai risposto. Perché in Botswana si dice che i boscimani valgono meno dei cani. I boscimani non amano i “campi di reinsediamento”, anche se teoricamente dorebbero trovarvi una vita migliore, con cibo, acqua, cure mediche, scuole e tutti gli altri vantaggi della civiltà. In realtà, nei lugubri insediamenti perdono ogni identità culturale, diventano dipendenti dai sussidi governativi e trovano disperazione, violenze, alcolismo, prostituzione e Aids. Alla grande deportazione del 2002 sfuggirono solo 35 individui, ai quali negli ultimi tre anni si sono uniti circa altri 150, scappati dai campi camminando giorno e notte, nascondendosi tra le erbe, dormendo in buche nel terreno coperti di sabbia, spremendo un po’ d’acqua dai tuberi, catturando qualche animale per sfamarsi.
Ma sempre guardandosi alle spalle, in fuga, braccati come bestie dalle guardie armate del parco. Che alla fine li hanno ripresi quasi tutti e riportati nei campi. Oggi, secondo Survival International sono meno di una decina i fuggiaschi che si nascondono ancora fra le sterpaglie della riserva, ma alcuni sono già stati individuati dalle guardie che li seguono passo passo, impedendo loro di raccogliere qualcosa da mangiare o da bere. Pena l’arresto basato su un beffardo rispetto delle regole, che riporta nei campi solo i boscimani che infrangono il divieto di caccia e di raccolta. Le regole sono regole. “Il governo del Botswana sta perdendo completamente il lume della ragione - ha dichiarato Rafael Runco, segretario generale di Survival International -. La breve distanza che separa le azioni governative dal genocidio si sta assottigliando e da oggi nessuno potrà più negare che il governo stia tentando di annientare un gruppo etnico”. Ma, mentre nella savana si sta consumando l’ultimo atto di una tragedia annunciata, i boscimani hanno aperto un altro fronte di resistenza con il supporto legale di Survival International. Hanno citato in giudizio il governo accusandolo di avere attuato una vera e propria deportazione contravvenendo così al cosiddetto comma 14 della Costituzione che garantisce ai boscimani il diritto di vivere nelle loro terre ancestrali. Il governo nega, sostenendo che si è trattato di un trasferimento spontaneo. In tribunale si va avanti tra continui rinvii mentre in Parlamento il governo lavora a tappe forzate per l’abolizione del comma 14. “La deportazione dei boscimani, iniziata già alla fine degli anni Novanta, è dovuta al fatto che i loro territori nella riserva si sono rivelati un’immensa miniera di diamanti - spiega Francesca Casella, responsabile di Survival International Italia -. Proprietaria di gran parte di queste concessioni è una società composta al 50 per cento dalla famosa De Beers e da una società di cui fanno parte diversi ministri del governo. Ovviamente gli interessati smentiscono che l’allontanamento dei boscimani dipenda dai diamanti e fanno notare che non c’è neppure una miniera aperta. Ma ormai le concessioni minerarie coprono praticamente tutta la riserva”. “Tutto sembra perduto - ammette Francesca Casella - ma non è così. Noi ci batteremo fino all’ultimo per salvare questo popolo, anche invitando al boicottaggio dei diamanti e del turismo in Botswana. Questo possiamo farlo tutti, i media e i politici dovrebbero fare pressione su Festus Mogae, presidente del Botswana che proprio in questi giorni è a Roma. Un diamante è per sempre, ma i boscimani muoiono”.
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Marko |
Posted - 14/07/2005 : 00:19:02 Con Claus in chat parlavo giusto di questi prodotti e m'ha fatto venire l'idea che potremmo comprare uno (non alimentare) x Lene, visto che sono prodotti cmq artigianali, semplici e spesso anche originali. Vedrò cosa trovo. Anche voi provate a fare un salto nelle botteghe del commercio equo e solidale che ci sono nelle vostre città. Troverete molti prodotti genuini (a partire dalla cioccolata fatta davvero di cioccolato) x un prezzo solitamente solo leggermente superiore agli altri prodotti in commercio, ma siete sicuri di quello che acquistate e soprattutto aiutate a vivere in modo dignitoso tante persone, agricoltori, artigiani, piccoli imprenditori di diverse regioni del mondo, che sono tagliati fuori dal normale circuito commerciale internazionale.
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Gaga |
Posted - 13/07/2005 : 22:57:33 Triste, tristissimo anche se si muove qualcosa! Spezzo una lancia a favore dei prodotti, giustamente già nominati, della CTM COmmercio Equo e Solidale. Sono prodotti soprattutto alimentari di ogni, ma anche prodotti tipoici in legno o altri materiali naturali, realizzati dai piccoli produttori locali con materiale locale, con un salario tale da garantire un vivere dignitoso! |
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