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 Uno Bianca, 13 Ottobre
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Domle
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Posted - 13/10/2006 :  23:20:45  Show Profile  Visit Domle's Homepage  Send Domle an ICQ Message  Click to see Domle's MSN Messenger address  Reply with Quote
Posto oggi perchè si ricorda oggi....


Da Wikipedia

Banda della Uno bianca fu il nome attribuito dal giornalismo italiano ad una organizzazione criminale che, a partire dal 1987 e sino l'autunno del 1994, commise 103 crimini, provocando la morte di 24 persone ed il ferimento di 102. Il nome derivò dal tipo di auto generalmente utilizzata per le condotte criminose: una Fiat Uno bianca, dato che in quegli anni era molto diffusa e facile da rubare.


I crimini

La banda cominciò a compiere i suoi crimini dal 1987, dedicandosi nelle ore notturne alle rapine dei caselli autostradali lungo l'autostrada A14 per poi raggiungere il mare per festeggiare consumando la colazione. Il primo colpo messo a segno dalla banda fu la rapina al casello di Pesaro, consumata a bordo di una Fiat Regata. Dapprima il nucleo era composto da tre uomini.

Nel 1988 la banda decise di utilizzare come mezzo una uno bianca, in quanto era un autovettura che si forzava facilmente e per accenderla era sufficiente una tessera telefonica. Da allora le loro imprese criminali si identificano come quelle compiute dagli uomini della uno bianca. Si trattava di personaggi piuttosto efficienti e privi di scrupoli, che non sembravano prediligere un particolare obiettivo, dedicandosi bensì a rapinare banche, caselli autostradali, supermercati, pompe di benzina, ecc. I loro attacchi furono molto cruenti e spesso pieni di morti e feriti. Tra essi qualche testimone oculare, come nel caso di Primo Zecchi, assassinato il 6 ottobre 1990 perché stava annotando il numero di targa della macchina dei criminali. Ciò che emerse immediatamente all'occhio degli inquirenti è la totale assenza di scrupoli di questi individui, che dimostravano di padroneggiare le armi, di agire con precisione e di saper uccidere senza tentennamenti. I colpi messi a segno, in genere nell'area compresa tra Pesaro, Rimini e Bologna, non frutteranno mai grosse cifre. I criminali si evidenziarono inoltre per vere e proprie azioni punitive inflitte ad un campo nomadi alla periferia di Bologna (23 dicembre 1990, due morti e due feriti) ed a degli immigrati (18 agosto 1991) e per delle azioni intimidatorie a danno di prostitute. Numerose furono le vittime dei delinquenti, tra cui una pattuglia dei Carabinieri, in normale servizio di perlustrazione del territorio (Castel Maggiore, 20 aprile 1988). Rimasero uccisi due militari: Cataldo Stasi e Umberto Erriu.

La strage del Pilastro

Il 4 gennaio 1991 intorno alle 22, presso il quartiere Pilastro di Bologna, una pattuglia dell'Arma dei Carabinieri cadde sotto le pallottole del gruppo criminale. Questi si trovava in quel luogo per casualità, essendo diretto a San Lazzaro, in cerca di un'auto da rubare. All'altezza delle Torri, in via Casini, l'auto della banda fu sorpassata dalla pattuglia dall'Arma. La manovra fu interpretata dai criminali come un tentativo di registrare i numeri di targa e pertanto decisero di liquidare i carabinieri. Dopo averli affiancati, Roberto Savi esplose alcuni proiettili verso i militari, sul lato del conducente (Otello Stefanini). Nonostante le ferite gravi subite, il militare cercò di fuggire, ma purtroppo andò a sbattere contro dei cassonetti della spazzatura. In breve tempo l'auto dei Carabinieri fu investita da una pioggia di proiettili. Gli altri due militari, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, riuscirono a lasciare l'abitacolo ed a rispondere al fuoco, ferendo tra l'altro Fabio Savi. La potenza delle armi utilizzate dalla banda però non lasciava speranze ed entrambi i militari dell'Arma rimasero sull'asfalto. I tre carabinieri furono finiti con un colpo alla nuca. Il gruppo criminale si prese il disturbo di impossessarsi del foglio di servizio della pattuglia e si dileguò, aiutato dalla fitta nebbia della notte. La Uno bianca coinvolta nel massacro fu abbandonata poche centinaia di metri più in là ed incendiata; uno dei sedili era sporco del sangue di Fabio Savi rimasto lievemente ferito durante il conflitto a fuoco. Il fatto di sangue fu subito rivendicato dal gruppo terroristico "Falange armata". Tale rivendicazione fu però ritenuta inattendibile, in quanto giunta dopo il comunicato dei mass media. La strage rimase impunita per circa quattro anni. Gli inquirenti seguirono delle piste sbagliate, che li portarono quasi ad incriminare quattro soggetti estranei, di cui un camorrista. In seguito saranno gli stessi assassini a confessare il delitto durante il processo.



Le indagini

Agli inizi del 1994 il magistrato di Rimini Daniele Paci costituì un pool di investigatori per risolvere il caso, dopo 7 anni di omicidi e crimini ancora senza un colpevole. Il pool non riuscì ad ottenere molto, solo la ricostruzione di un identikit di un bandito, registrato a volto scoperto durante una rapina in banca il 3 marzo 1994.

Verso la metà del 1994 il pool dei magistrati riminesi fu sciolto e la direzione delle indagini consegnata ad un pool di magistrati a Roma.

Furono però due poliziotti, l'ispettore Baglioni e il sovrintendente Costanza, a seguire la pista giusta. I due poliziotti, facenti parte della Questura di Rimini, avevano collaborato con l'appena sciolto pool di magistrati riminesi. Chiesero che il loro lavoro del pool non venisse perso ed avviarono delle indagini autonome volte a scoprire i componenti della banda della Uno bianca. Il procuratore di Rimini diede loro carta bianca, fu così che Baglioni e Costanza cominciarono a dedicarsi praticamente a tempo pieno alle loro indagini. Misero in atto appostamenti, ricerche, controlli agli istituti di credido rapinati e cercarono di capire le modalità operative della banda. Tutti gli elementi utili all' indagine venivano inseriti nella memoria di un computer che avevano comprato autofinanziandosi.

In Baglioni e Costanza cominciarono a sorgere dei sospetti che i componenti della banda potessero essere persone in seno alle forze dell'ordine, vista la bravura dimostrata con le armi da fuoco e la apparente inafferabilità del gruppo. In quel periodo eseguirono un minuzioso lavoro di ricostruzione dei delitti, confrontando date, orari, luoghi ed identikit. Baglioni e Costanza fecero poi una considerazione che si rivelerà fondamentale: i banditi conoscevano troppo bene le abitudini dei dipendenti della banche assaltate; ciò significava che svolgevano una puntigliosa opera di documentazione e di controllo prima di compiere la rapina. Inoltre i due poliziotti si chiedevano come facessero ad evitare tutti i posti di blocco ed a conoscere così bene tutte le vie di fuga lungo le strade secondarie. Decisero quindi di comportarsi come loro, passando le loro giornate ad appostarsi davanti ad istituti di credito, ubicati nelle zone che i criminali preferivano colpire, in attesa di notare qualche persona sospetta.

Il 3 novembre 1994 Fabio Savi commise un passo falso, eseguì un sopralluogo presso una banca del riminese, davanti alla quale si trovavano appostati Baglioni e Costanza. Savi giunse sul posto con la solita Uno bianca, che però esibiva una targa irriconoscibile per la sporcizia. Ciò destò la curiosità degli investigatori presenti sul posto, che confrontarono la fisionomia del conducente con quella rimasta impressa nei filmati ripresi nelle banche rapinate. Ne riscontrarono una vaga somiglianza e pertanto decisero di seguirlo. Fabio Savi li condusse infine presso la sua abitazione, a Torriana. Da questo momento le indagini subirono uno sviluppo sempre più nitido, fino ad acclarare le responsabilità dei criminali. Fu appurato che la loro inafferrabilità era dovuta all'uso improprio di palette e tesserini di servizio. L'ultimo colpo avvenne il 21 ottobre 1994, presso un istituto di credito di Bologna (due feriti). I componenti della banda furono infine arrestati e condannati all'ergastolo (6 marzo 1996), eccetto per Pietro Gugliotta, condannato a 15 anni.

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Condannati all'ergastolo per diversi omicidi, le hanno chiesto
perdono nel 15esimo anniversario dell'eccidio di Bologna
Uno bianca, lettera dei fratelli Savi
alla madre di un carabiniere ucciso

Ma la donna non l'ha voluta leggere: "Non riesco a perdonarli"


L'attentato della Uno bianca al Pilastro

BOLOGNA - Una lettera per chiedere perdono ad Anna Stefanini, la madre di uno dei tre carabinieri uccisi al Pilastro la notte del 4 gennaio 1991 dalla banda della Uno bianca. Il messaggio, scritto dai fratelli Savi, condannati all'ergastolo per questo delitto e per altri omicidi in sette anni di terrore, è stato consegnata in una busta alla donna in occasione del 15esimo anniversario dell'eccidio avvenuto nella zona alla periferia di Bologna.

"Appena l'ho aperta - ha raccontato Anna Stefanini - sono rimasta allibita e l'ho subito richiusa". Non sa nemmeno se la leggerà, ha spiegato ancora la donna, e anche per questo non è ben chiaro se la lettera sia stata firmata da tutti e tre i fratelli Roberto, Fabio e Alberto. Di certo resta il dolore della madre che da 15 anni torna a Bologna per ricordare suo figlio Otello e i suoi due commilitoni, Andrea Moneta e Mauro Mitilini.

"Io ho fede e credo in Dio, e non posso dire che li ho perdonati, perché la cosa più atroce è vedere che mio figlio, ucciso a 22 anni e tre mesi, non c'è più. Io non riesco a perdonarli, ma prego per loro perché Dio gli faccia capire cosa hanno fatto". Anna Stefanini ha poi ribadito la richiesta di una pena certa: "Io non sono per la pena di morte, ma sono per la pena certa e allora se uno è stato condannato all'ergastolo trent'anni almeno deve scontarli".

Come ogni anno uno dei più tragici delitti della Uno bianca, la strage del Pilastro, è stata ricordata con una messa, celebrata nella chiesa del quartiere dal vescovo ausiliare di Bologna Ernesto Vecchi, e con una deposizione di fiori al monumento che ricorda il sacrificio dei tre giovanissimi carabinieri.

Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini erano tre giovanissimi carabinieri poco più che ventenni e la sera del 4 gennaio del 1991 erano di pattuglia al quartiere Pilastro, estrema periferia di Bologna. Quella sera, poco prima delle 22, la loro strada si incrociò con quella della banda della Uno bianca guidata dai fratelli Savi e composta per quattro quinti da poliziotti. Tre banditi all'improvviso aprirono il fuoco contro i tre carabinieri trucidandoli.

Ci sono voluti quasi quattro anni per scoprire i veri assassini, colpevoli di avere ucciso 24 persone e di averne ferite altre 102 in sette anni e mezzo di scorribande (91 rapine a banche, caselli autostradali, distributori di benzine, supermercati e uffici postali; una tentata estorsione, una decina di 'spedizioni punitive' con il solo scopo di uccidere) il tutto tra il 1987 e il 1994.

Oggi la vedova di una delle vittime, Rosanna Zecchi (il marito Primo Zecchi fu ucciso a Bologna il 6 ottobre del 1990), che presiede l'Associazione delle vittime dei fratelli Savi, ha proposto che tutte le persone cadute sotto il fuoco della banda vengano ricordate in un unico giorno, indicando il 13 ottobre come possibile data.


www.repubblica.it

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Di lui al saluto con Lene ricordo distintamente anch'io il "Come here!" e il tendere le braccia di Lene.
Domle stava proprio a fianco a me; mi sono sorpreso x un attimo,
perche' Domle e' stato l'unico ad essere stato "riconosciuto", ma come dimenticare l'onnipresente tifoso del TIL?

-----Aker brygge, sarai per sempre la mia neste stopp... -----
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