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Yulaiho
Fan
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Posted - 19/02/2004 : 15:14:21
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Dunque... avendo riscontrato abbastanza pareri favorevoli in chat, ho deciso di postare questo "racconto" "comico" in puntate, una ogni tanto, cominciando dall'introduzione, che vi spiega tutto. Da "De Mona Captandi", libro sacro del guru Domle (riferimenti chatteschi ), "la dignità non si perde mai abbastanza", perciò mi sono addirittura sentito in dovere di postare ... A qlcno magari nn va di farsi 4 risate, o forse vuole evitare il riskio di essere contagiati dalla mia demenza... in ogni caso postate commenti di ogni genere, numeri di telefono di psichiatri, etc... oppure chiudete la pagina Buona lettura!!
Il romanzo – premessa generale e confessioni dell’autore Questo romanzo è stato scritto con lo scopo di fare… all’amore… basta, mi sono immedesimato troppo nel personaggio… Lo scopo di questo romanzo è far ridere: in un mondo dove bla bla bla, le solite cose retoriche bla bla, c’è bisogno di personaggi così, bla bla. Parlando sul serio, cosa che dopo una dozzina di capitoli mi viene piuttosto difficile, Don Pendolòn è stato creato a scopo puramente comico: questa opera, se così vogliamo definirla, non è una commedia nel vero senso della parola, perché per commedia dobbiamo tornare indietro nei secoli, ai tempi dei Greci, dove per commediografi si intendevano i vari Aristofane, Menandro, etc, o i Latini Plauto, Terenzio, e altri ancora. Aristotele mi pare definisse il teatro “catarsi”, sia nella tragedia che nella commedia; sono d’accordo perché il mio teatro, nel mio piccolo, è una purificazione: chi lo apprezza si sentirà di certo liberato, “purificato” dai suoi pensieri negativi (sembro una chiromante), chi lo disprezza, per i motivi più vari, si potrà servire di Don Pendolòn per purificarsi fisicamente (magari a qualcuno fa cagare, anche se non volevo essere volgare…). Il genere si allontana ancora di più dagli esponenti della commedia intelligente, ricercata: quella di Goldoni e Pirandello, per intenderci. Forse si può parlare di più di “teatro dell’assurdo”, che per molti versi ricorda Eugene Ionesco, ma vi assicuro che non conoscendo molte opere dell’autore, non mi sono ispirato a lui. A proposito di ispirazione, non ho mai avuto una vera ispirazione per cominciare a scrivere questa…cosa: a meno che ad agire per me non sia stato il mio subconscio, o cose del genere (non è mio appannaggio), non ho avuto un modello, e mi fa piacere, perché significa che nello stile sono originale (o almeno, di questo vado a vantarmi in giro). Ma basta con le cose serie. Sono sicuro che alcuni scopriranno la vera identità dell’autore (peraltro non celata) anche attraverso il modo di parlare (o scrivere) che usa, ma anche per i riferimenti alla vita che lo circonda.
Il romanzo – lo stile Lo stile usato in Don Pendolòn non è fisso, e non si può cercare uno stile solo, perché cambia di capitolo in capitolo: l’unica cosa che lega i quindici capitoli che seguono è il protagonista, e ovviamente la voglia di far ridere (che ci riesca poi, non lo so). In Don Pendolòn sono presenti anche figure retoriche, addirittura citazioni letterarie (scontate). La presenza di queste citazioni non è una “leccata” ad altri autori, o un inutile sfoggio di cultura: sono cose per lo più imparate a scuola. Da fuori la scuola vengono espressioni gergali, modi di dire di ogni tipo, parole volgari e chi più ne ha, se le tenga per sé, così può scrivere qualcosa anche lui… Mi scuso qualora qualcuno si sentisse offeso dalle parole volgari che uso, ma sono state quasi sempre necessarie. Sicuramente qualcuno dirà: “Ma questa battuta l’ho inventata io!”, o “Questa l’ho già sentita!”. Beh, il mondo della comicità è ristretto, quindi sta nella bravura dell’autore riuscire a inventare cose originali e non ripetere battute vecchie… che poi, anche le semplici fesserie (colonna portante del romanzo), dette in un certo modo, in un certo contesto, possono far ridere. Come avrete notato, i capitoli di questo romanzo hanno tutti la durata di una pagina. Questo per dare una nota particolare a Don Pendolòn (magari un si bemolle), ma anche per non far stancare i lettori, che se mi assomigliano, preferiscono capitoli brevi e pause frequenti, per letture non troppo impegnative (o come questa, per niente impegnative). In Don Pendolòn sono presenti anche molti riferimenti, più o meno casuali (Homer Simpson per esempio). Di certo l’intento dell’opera non è quello di offendere categorie (i preti) o personaggi (Ozzy Osbourne); certo però, prendersela contro categorie intere è più semplice, anche se più cattivo ;-)
Il romanzo – come e perché leggerlo Faccio presente che tutte queste cose le dico per evitare che gli studenti che studieranno questa opera in secula (o in “sei culi”), abbiano difficoltà ad analizzarlo (è bello darsi delle arie gratuitamente, cioè senza pagare!). Don Pendolòn è un personaggio di compagnia, e quindi va letto in compagnia: è difficile leggere Don Pendolòn, perché molti doppisensi si possono capire solo ascoltandoli: vederli scritti toglie la sorpresa. E’ quindi preferibile leggere in compagnia, in luogo fresco e asciutto, e soprattutto arieggiare durante l’uso per far uscire un po’ di cazzate. Perché leggerlo: solo e semplicemente per divertirsi.
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Yulaiho
Fan
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Posted - 19/02/2004 : 16:57:20
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Wow! grande Yulaiho!! bellissima! ok ok... dato ke era solo l'introduzione, non ha suscitato molte polemiche, ancora perciò vi posto subito il capitolo III. I primi due capitoli non sono arrivati a noi per problemi tecnici, e riscriverli sarebbe stato brutto, non sarebbero stati come l'originale! qndi beccatevi qsto capitolo prima ke qsto topic venga chiuso confesso ke alcuni capitoli nn piacciono nemmeno a me, ma qsto lo discuteremo, se vi va, in seguito
Capitolo III - Don Pendolòn e il triangolo del finocchio
Dopo un anno Don Pendolòn decise di suicidarsi. Il problema era non farlo sapere ai suoi familiari, poiché lo ritenevano troppo sano per la sua età. In effetti si sbagliavano, perché il vino lo aveva trasformato nel corpo e nell’anima, nella forma e nel colore. A questo proposito, o forse ad un altro, la frase “Il vino è buono, certo, ma non quanto l’acqua” venne pronunziata in una seduta di qualcosa di importante dal portiere del palazzo dove viveva Filippo Liturgia, il marito di mia zia. A lui lo disse il poeta Erasmo Culetti, che lo venne a sapere da Simone Lancaster, dopo averlo sentito dire dal giudice di pace Piersilvio Berlinguer, padre della tata di casa Vianello. D’un tratto un urlo. Era Don Pendolòn che, vista la tazza del water con il copriwater alzato, si disperò e si contorse per 43 secondi in invisibili e strazianti contorsioni di dolore, che gli attraversavano il fegato passando per l’intestino crasso e macro. Urlò come un malato terminale che per l’ira accumulata in vent’anni di strazio fisico e mentale, straccia il biglietto della lotteria acquistato al bar Carluzzi in Via Finanza Negra. Il suono di quell’urlo lo udirono tutti, a cominciare dal fedele cane del girotondista Ted Winnipeg, continuando con l’intero allevamento di struzzi da campeggio di nonno Hurley Davinson, proseguendo per il guardiano del fiume della palude Long John Bronze, ma anche dal recalcitrante fognologo Lamberto Pusceddu, parente apparente di Filosoph Panzer, e infine dal calzolaio di Trombo Trombo, laureatosi dopo aver frequentato il corso per calzolaio al Liceo Classico DeCastro. A proposito, anche Don Pendolòn si laureò nella stessa materia di studi, applicandosi con impegno e dedizione al lavoro svolto dai suoi antenati migliaia di anni orsono. Anche or sono migliaia di anni. E anche or sono migliaia di anni… Anche lui si laureò dopo aver frequentato quel corso, circa 61 anni dopo averlo frequentato, in altro luogo, in altra sede. Ma il problema non era né il corso di calzolaio né tantomeno quello di sarto: bisognava trovare una soluzione, e alla svelta... il problema si faceva sempre più serio per Don Pendolòn e sempre più divertente per Carlotta, la donna che complotta. Il problema si era spostato, alla velocità del buio (parecchio bassa quindi), dal suo suicidio al loro loricidio, e anche al miicidio; in seguito il dilemma diventò un altro, ben più grave del primo, ben più complesso del precedente: il nostro amico prete non riusciva ad entrare in camera sua per via di un elefante che si era slogato una spalla correndo per un torneo di caccia misto tiro con l’arco, in cui i cacciatori dovevano cercare delle frecce per i loro archi. Pregava San Tommaso Da Quitrino, Santo Maso Chista, San Tommasi da Roma FC, ma nulla da fare. Aveva bisogno di una sauna con la fauna tipica del luogo, senza però disturbare il celeberrimo guardiano del faro della cittadella omonima, in quel momento intento a masturbarsi davanti alla luce del faro per farsi notare. Quel personaggio era piuttosto strambo, infatti spesso dava alla gente una brutta immagine di sé: dava ai passanti una sua foto piuttosto brutta. L’elefante. Ora esisteva solo l’elefante per Don Pendolòn, e nemmeno il coyote grigio della foresta poteva risolvere la situazione. Nemmeno con una scoreggia puzzolente ma insonorizzata, la sua specialità, poteva riuscire a sbloccare di lì quel zannuto quadrupede. Era stato comunque invitato dal Don, non si sapeva mai. Di certo Don Pendolòn non faceva mancare nulla al coyote grigio, specie un buon piatto di fagioli della Papua Nuova Guinea ogni 51 secondi, il tempo che un malato terminale impiega per reincollare il biglietto della lotteria acquistato al bar Carluzzi in Via Finanza Negra che in realtà aveva vinto il jackpot che avrebbe potuto restituirgli quei vent’anni di strazio fisico e mentale sprecati con l’ira accumulata. Il coyote ebbe una brillante idea: curare l’elefante per farlo andare via da solo. L’idea venne subito scartata per ovvie ragioni (era su un foglio di carta), venne in seguito bocciata (quando venne proposta scritta su una boccia da competizione). A Don Pendolòn non rimase altra scelta che sopprimerlo. Sopprimere il coyote per la sua ingrata inettitudine, per tutto il tempo sprecato a gozzovigliare in casa sua senza dargli nulla, circa 297 secondi della sua vita sprecati, l’equivalente di ciò che impiega un malato terminale a stracciare di nuovo il suo biglietto della lotteria vincente, perché venuto a sapere che il jackpot non era altro che un pupazzo tipo Jack In The Box, passando così altri vent’anni di strazio fisico e mentale.
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Lene4Me
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Posted - 20/02/2004 : 09:13:20
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Dimmi una cosa Yula...ma prima di scrivere questi racconti avvincenti, ti fumi qualcosa?!?
Lene 4 Ever In My Heart |
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Yulaiho
Fan
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Posted - 22/02/2004 : 12:42:26
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No no: è tutta fantasia... il che mi fa pensare che se riesco a scrivere cose del genere senza "aiuti esterni"... non oso immaginare... '_' beh dai, vi piace o potevo risparmiarmelo??
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